sabato 7 marzo 2009

io lo metto ... è forte, bisogna essere maggiorenni! grazie!

Al di la dello specchio.

Giacomo: destra sinistra

Mi chiamo Giacomo, vivo in carcere da 2 anni e a breve esco. Mi chiamo Giacomo, ma il mio primo vestito, il mio nome, oggi mi stringe. Mi chiamo Giacomo, e il mantello d'ombra nero che mi segue non mi da tregua. Mi chiamo Giacomo, la gola mi si stringe in un urlo silente che angoscia le mie carni. Mi sveglio la notte, nell'odore famigliare della mia cella di sudore e di mensa stantia, cercando la maniera di deglutire i miei deja vu, cercando di vomitare il mio senso di colpa che mi si autoalimenta con i miei incubi. Non vi illudete sono cattivo, molto cattivo, e la mia introspezione odierna è solo, e ripeto solo, per autodenunciarmi alla gogna al vostro ludibrio, sputatemi in faccia ne ho bisogno, ma forse non merito nemmeno questo.
Io non so che cavolo mi sia preso, quella sera ma fui animale.
Vorrei portare un pensiero su queste righe bianche, quando si parla di simpatia o antipatia a pelle si sta chiaramente parlando di chimica, di quella parte umana che ancora vive di istinto animale, così che i feromoni, adrenaline, magnetismi positivi e negativi o chissà che cosa, entrano in gioco sprizzando endorfine o chissà cos'altro, nel nostro cervello e, allora quella persona, uomo donna che sia, è pronta a riceverci o a mandarci a cagare nell'istante in cui si materializza la presenza vicendevole. E questa appena detta è la definizione che ha per me l'incontro animale, ma in secondo piano arriva la nostra intelligenza, quella benedetta, o maledetta dipende dai punti di vista, cosa che ci differenzia dai nostri parenti di genere. Si instaurano rapporti, che vanno oltre l'afrore, oltre l'animale che è in noi, un rapporto è quel ponte che ci lega fatto di corde e tavole che sono l'educazione, la morale, l'intelligenza, la cultura, il registro con cui ci si esprime e una serie di vari ed eventuali che intercorrono tra le persone. Così che, le persone che si piacciono hanno riguardo a non distruggere famiglie e/o privileggiare altri rapporti al di fuori di un letto, e persone che non si piacciono ma che comunque riescono a tollerarsi per instaurare rapporti al di fuori del ring.
Io ero libero di pensare, muovermi nello spazio, lavorare e amare, diedi però libertà alla bestia sopita che è dentro ognuno di noi. Si può commettere una serie di reati infinita, si può andare contro la morale collettiva senza toccare la propria, si può fumare uno spinello e sentirsi a posto con il mondo mentre il mondo ti ingabbierebbe. Ci sono reati morali che però incontrano l'universalità di pensiero, come uccidere, che però non lascia nulla se non il vuoto e la rabbia e al limite il pentimento, ma ci sono reati come il mio che lasciano segni indelebili sulla vittima, lasciano ferite sanguinanti a vita, reati che uccidono tutti i giorni la persona che ne è vittima. Io sono stato un carnefice! Io ho violentato una donna, che muore e che morirà tutti i giorni della sua vita, ogni giorno sarà ricorrente a quello della sua prima morte quando io tolsi a lei la luce della libertà di scegliere. Tra un po uscirò da questa “bambagia” che mi ha protetto da me e dal mondo per anni, ora devo fare i conti, non che non l'abbia fatto : quotidianamente se fosse servito avrei sbattuto la testa contro il primo spigolo, ma oggi avevo il suono della campanella di uscita incombente. Se ci fosse stato qualcuno la fuori a violentare me lo avrei accettato senza problemi, ma anche qui avrei colmato un mio egoismo quindi senza ulteriori espiazioni della mia colpa.
Era una sera come le altre, di sabato le ragazze si vesto molto bene, carine e sexy, io non avevo bevuto, io non avevo fumato, non ero neanche in uno stato di euforia che avrebbe potuto scatenare il diavolo in me. La vidi e, i miei sensi si allungarono verso lei come catturati da quella scia che porta il topo al formaggio nei cartoni animati. Estasiato dalla sua indicibile bellezza, mi avvicinai e di sottecchi la guardai, la luce soffusa si ammantò del fumo che dà la vista sfuocata di quando si stringono gli occhi, una fata! Una meravigliosa fata! Mi avvicinai e mi feci avanti, capì che ero li per provarci, mi fulminò con gli occhi, che azzurri presero la luce del ghiaccio. Mi girai, me ne andai con la coda tra le gambe. La serata continuava e la mia vista incrociava spesso quello spettacolo di donna, quel tripudio di bellezza, quelle gambe, quel seno, quei capelli, era tremendo avevo una attrazione fisica prepotente verso quella donna, stavo smaniando per averla per una notte di assoluta libido. Già pregustavo l'amplesso e i suoi sospiri, i suoi afrori, il suo corpo caldo sul mio. Nulla, riprovai ad avvicinarla ma niente, questa volta disse pure qualcosa che intuii in un vaffanculo, non sentii le parole, il chiasso era protervo, e il labiale era tutto ciò che comunicava con me, da lei. Quelle labbra! Erano diventate in quei pochi attimi un desiderio irrinunciabile un voglia irrefrenabile di possesso, sentivo una potenza sessuale enorme, sentivo la mia erezione partire dal battito tachicardico del cuore che pompava sangue alla velocità di un treno. Il respiro mi si affannò, non so cosa cazzo mi stesse succedendo ma la volevo era mia, era mia volente o no!
L'avevo premeditato, l'avrei approcciata all'esterno di quel locale, in mezzo alle auto parcheggiate, con una scusa qualsiasi; avevo visto che era in un gruppo di amiche, non c'era nessun altro uomo intorno che potesse fermare la mia assoluta voglia di conoscere quella donna.
Avevo, come si suol dire, le farfalle nello stomaco, la sensazione era più o meno quella che si sente quando si ha di fronte la ragazza di cui si è perdutamente innamorati... e forse lo ero, lo ero bestialmente: dovevo solo accoppiarmici.
Io nella vita facevo il postino, ho avuto di fronte donne in desabillè per anni, donne che mostravano scollature notturne, il mio arrivo per la firma della raccomandata non le spiazzava, tanto è il postino, firmo e chiudo! In una grande città come la nostra ci sta anche, la gente non si conosce tra porta a porta dopo venti anni di convivenza nello stesso stabile, figuriamoci se ci si cura per il postino... beh! questo per dire che io non ho mai avuto una pulsione così.
La aspettai, la vidi, e la fermai: - scusa, come ti chiami?- scusa più stupida no! - lasciami in pace!- disse lei con convinzione, e li non so, il fuoco, il furore, l'onore, che cazzo ne so! : - zitta puttana!-
impietrita cercò la forza per un urlo, urlò con i suoi bellissimi occhi, la presi, e misi una mano davanti la bocca, non credo avrebbe urlato era troppo spaventata, la buttai a terra e strappandole di dosso la sua gonna e le mutande la immobilizzai, per sempre. Mi aprii a fatica i pantaloni, e tirai fuori il mio pene in visibilio per poter usufruire di cotanta grazia e la stuprai con tutta la forza che un animale può avere in corpo, sentivo soffocarsi il suo urlo e il suo pianto sotto le mie vigorose spinte, finii il mio disastro in fretta eiaculai dentro di lei che sanguinava il dolore della libertà negata. La lasciai li nuda sanguinante e spaventata, andai via, il vile aveva fatto il suo lavoro di fecondatore. Mentre scappavo, nei primi istanti me ne compiacevo, ero stato un vero uomo, uno di quelli che non si fa mettere i piedi in testa dalla prima troia... pochi istanti dopo al calo dell'adrenalina sentii freddo, partì dai piedi per arrivare alla testa, per fermarsi al cuore dove ancora oggi staziona.
Mi presero poco dopo, qualche giorno dopo la ragazza uscì dall'ospedale e mi riconobbe in un filmato del circuito chiuso, bastò alla polizia fare qualche domanda in giro e arrivarono alla porta di casa, forse mi sarei costituito, la paura del carcere era tanta, la vergogna era immensa, e apparire come il violentatore alle persone mi ci faceva oltremodo apparire a me stesso. Fui processato e ingabbiato, il giudice e pm erano donne, lo desideravo, non dovevo avere scampo, la mia idea era che dovevo assolutamente espiare la mia colpa, non passò mai. Neanche con le botte e con gli insulti che presi dentro. Fui consapevole che il dolore che ho provato io e che ancora provo e la milionesima parte del dolore prodotto da me su quella bellissima donna, che anche oggi come me non ha pace.
Mi chiamo Giacomo, e vorrei morire ma non lo merito!


Giacomo: sinistra destra

L'ironia della sorte volle che l'aguzzino della mia fidanzata Marta si chiamasse Giacomo, anche io mi chiamo Giacomo, forse è anche per questo che oggi io e lei non stiamo più assieme.
Fu incredibile, quella sera, era la serata “io di qua tu di la”, ogni settimana succedeva, si usciva separati, le coppie si scoppiavano per cavalcare l'onda della libertà, il vento del single da sentire per noi maschi che si lascia per quella sera l'impegno del fidanzamento: una infantile parvenza. Io ero tornato a casa dai miei, perché ancora la vivevo, da un po di tempo. sentii il cellulare vibrare sul mio comodino, numero privato, chi sarà mai a quest'ora... l'attimo fu breve ma il pensiero fu lesto più dell'istante stesso : è successo qualcosa! Infatti, era un agente di polizia che mi riferiva l'accaduto e che Marta aveva chiesto di me. Balzai giù dal letto, l'adrenalina mi costrinse alla massima forza, il cuore pulsava come un tamburo, no! Non è possibile, nel buio vidi le lucine che si vedono in un colpo di pressione alta, quasi svenni. Mi ripresi e mi vestii in un istante solo, avvertii i miei e schizzai come un missile a duecento all'ora per le strade deserte per raggiungere Marta. Arrivai all'ospedale e la vidi stesa e livida in viso, non il colore tipico delle percosse, ma il colore tipico della morte. Marta era deceduta nella sua più intima parte, era già stata medicata, il ginecologo le aveva curato ferite e somministrato un tranquillante, per la gravidanza non c'era problema, Marta prendeva la pillola, l'unico problema fisico grave, e me lo disse in disparte era la possibilità di aver contratto qualche malattia, lo sperma del suo maledetto aguzzino c'era tutto e in più c'era il sangue, tutto cospirava affinché la nostra tranquilla vita potesse diventare un incubo. Mi raccontò dei periodi finestra dell'aids, mi raccontò un sacco di roba che io non sentivo neppure, che comunque se lo avessero preso e se lui fosse stato consenziente avrebbero potuto togliersi i dubbi sulla possibilità del contagio. Se, se, se, se fossi stato con lei non sarebbe mai successo. Invece ero li a giocare al single con altri cretini, rivelatisi poi la salvezza dall'oblio che mi aspettava. La vidi le strinsi la mano le diedi un bacio sulla fronte, dormiva, si svegliò mi vide, pianse in silenzio. Mi chiese scusa, perché mai? Si scusò! Feci cenno di rimanere tranquilla e che il peggio era passato, capii in seguito che il peggio continua continua continua! Ero incazzato nero, l'avessi avuto tra le mani l'avrei ammazzato, l'averei torturato prima, gli avrei vomitato addosso tutto il mio odio. Avevo sentimenti strani, ero spiazzato da ciò che provavo: era una sensazione simile alla gelosia, ma lei poverina non aveva fatto nulla, se non mandare a fanculo il suo violentatore, io l'avrei ammazzato! Comunque sia sentivo questa fermentazione di rabbia incredibile che si radicava all'interno del mio cervello e nel mio cuore, e molto partiva da questa strana sensazione di gelosia, di possesso, Marta era mia! Cazzo stavo incazzandomi anche con me stesso, avevo momenti di lucidità che mi riportavano sulla terra, ricordandomi che era il modo di ragionare di quella merda che aveva distrutto Marta, e ancora la collera, ma io c'ero prima, no! Mi urlavo dentro! Non è una questione di possesso, è una questione di violenza...cazzo! Bestemmiavo, dentro e fuori! Lei mi vedeva e si girava, la piantai subito. Si vergognava, cazzo che idiota che fui, non lo capii subito, si vergognava di dover fare i conti con una verità del genere, e io anziché accompagnarla pensavo alla vendetta.
Qualche giorno dopo uscimmo, e lei non aveva detto che qualche parola: grazie, arrivederci, sto meglio, sto peggio, devo andare in bagno... come ne saremo usciti? Come ne saremmo usciti? La portai a casa, in macchina c'era sua madre e suo padre il silenzio, e il signor Giacomo, non io porca puttana, era in mezzo a noi con la sua ingombrante presenza, teneva le mani sulle spalle a Marta, lo percepivamo tutti, il nostro nuovo coinquilino mentale, ancora non sapevamo chi era, quel giorno non era ancora stato catturato, non aveva un nome ma un peso e uno spessore come una petroliera sulle nostre vite. Vigliacco, becero scarto dell'umanità, represso, maniaco sessuale, bestia, veleno, infimo, inetto, verme schifoso, vile, codardo, carogna, parassita, egoista, idiota, stronzo, maledetta merda muori! Ecco cosa mi usciva, non c'erano ragionamenti da fare, era colpevole di una sua azione semplicemente, solo che stavolta la ciccia l'avevamo messa noi e non una qualsiasi violentata sul telegiornale, dove comunque ci si indigna, ma finisce il tigi e comincia il film “commedia all'italiana” e la distanza da una Marta qualsiasi diventa insormontabile. Ebbene da quel la consapevolezza l'avemmo in casa ogni giorno.
Qualche giorno dopo lo presero, e lo processarono subito, fui contento di vedere al processo due donne, una sicuramente era il giudice, fu ingabbiato! Lo vidi, Marta lo vide, entrambi non avemmo il coraggio di guardarlo oltre, ci guardammo, Marta fece un sorriso io la seguii, scoppiò in lacrime singhiozzando come mai l'avevo sentita prima. Furono molti a commuoversi, la strinsi a me, non era più lei.
Non si andava più, lei non mi voleva più, a letto poi non ci si era più stati, non voleva, aveva ragione, mi lasciò non aveva più nessuna intenzione di farsi sentire menomata, la vergogna era entrata e non la molla, io credo che avesse sentito che io la percepivo diversa.
Ora Marta, ha i suoi amici e amiche, ora Marta non esce più! Ora Marta per un Giacomo in più della sua vita si sente morta. Sono passati più di due anni e tra un po l'uomo esce, spero stia male e che viva a lungo perché si ricordi sempre che la “mia” Marta ora è “sua” per sempre nel male!

Marta: lo specchio

Mi chiamo Marta e, vivo il dolore sulla pelle, ogni giorno rivedo gli occhi del diavolo che mi penetra, sento male ancora come il primo giorno in ospedale. Mi chiamo Marta e questa cosa la può capire, concepire e ragionare solo chi l'ha subita. Abbiate la creanza di lasciarmi in pace, un giorno mi riprenderò, un giorno questa ferita rimarginerà in una vistosa cicatrice, lasciatemi metabolizzare devo percepire ancora da dove è arrivata la tempesta.
Giacomo ti dico: vivi!


Donatello D'Angelo